’Abdullâh ibn ‘Umar
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’Abdullâh ibn ‘Umar
L’armata del Profeta, forte di mille musulmani, arrestò la marcia a Shaykhân, a metà strada tra Medina e Uhud. Il sole aveva iniziato a declinare al1’orizzonte. II Profeta (pbsl) smontò dat suo cavallo, Sakb. Era completamente armato per la battaglia. Un turbante avvolgeva il suo elmo. Indossava una corazza sotto la quale una cotta di maglia era trattenuta da cinturone in cuoio. Uno scudo gli pioteggeva la schiena e la sua spada gli pendeva al fiasco.
Al tramonto, Bilâl recitò l’udńôu e pregarono. II Profeta (pbsl) passò quindi un’altra volta in rassegna le sue truppe e In allora che notò tea i srioi uomini la presenza di otto ragazzi i quali, nonostante la giovane etă, speravano di poter piendere parte alla battaglia. Tra essi vi erano Zayd, il figlio di Usâma, e ‘Abdullàh, il figlio di ‘Umar, entrambi di tredici anni. II Profeta (pbsl) chiese loro di tornare a casa immediatamente. I due ragazzi dimostrarono di essere abili combat- tenti e fu concesso loro di accompagnare l’armata alla battaglia di Uhud, mentre gli altri furono rimandati alle loro íamiglie.
Fin dalla prima giovinezza, ‘Abdullăh ibn ‘Umar dímostrò così il suo desiderio di accompagnaie il Profeta (pbsl) in tutte le sue imprese. Accettò l’lslam prima di avere compiuto dieci anni di età e fece l’Ègira insienae at padre e alia sorella, Hafsah, la quale divenne poi una delle mogli del Profeta. I°ríma di Uhud, era già stato aI.- lontanato dalla battaglia di Badr e mon fu se noii alia battaglia del Fossato che a lui e Usarnah, allora quindicenni, fu consentito di unirsi at ranghi degli uomini, non solo per scavare il fossato, ma anche durante i combattimenti.
Da1l’epoca della sua emigraziøne fino a1 momento della sua mc›rte, vale a dire settant’anni dopo, ’Abdullâh ibn ‘UW¡qr Si distinse a1 servizio dell’lslam e fu considerato dai musulmaiii come “il Buono, figlio del Buono”, secondo Abú Mûsa at-Ash‘ari. Era noto per la sUta conoscenza, umiltà, geneiosită devozione, veridicità, in- corruttibilità e costanza negli atti di ’ibádah.
Apprese molto da1 suo grande e illustre padre, ‘Umar, ed entrambi ebbero il privilegio di imparare dat più grande maestro, Muhammad iI Messaggero di Dio. ’Abdullfih soleva osservare atten-
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tamente ogrri detto e atto del Profeta (pbsl) in ogni genere di situazione per poi imitarla con devozione. Per esempio, se ‘Abdullàh vedeva il Profeta compiere la preghiera in un luogo particolare, lui stesso pregava poi nello stesso posto. Se vedeva il Profeta (pbsl) rivolgere una supplica in piedi, anche ltri rivolgeva un dii a’ nella stessa posizione. Se lo vedeva rivolgere un da’ù’ (invocazione) se- duto, faceva poi lo stesso. Nel corso di un viaggio vide il Profeta (pbsl) smontare dal suo cammello in un luogo particolare e pregare due rak’at. Da quel momento, ogniqualvolta percorreva lo stesso tragitto, faceva sosta in quel luogo preciso e pregava due rak’at. Un giorno, in un angolo particolare di Mecca, vide il cammello del Profeta compiere due giri completi prima che egli smontasse e pregasse due ra#‘at. Può essere che il cammello avesse fatto ciò involontariamente, nondimeno, quando ad ‘Abdullóh ibn ’Umar accadeva di trovarsi in quel posto, ordinava al suo cammello di compiere due giri completi prima di farlo inginocchiare e smontare. Quindi pregava due rob af nella stessa maniera de1 Profeta.
‘À’ishah, che Dio sia soddisfatto di lei, notò tale devozione di ‘Abdullàh nei confronti del Profeta (pbsl) e disse:
“Nessuno seguì le orme de1 Profeta, che Dio lo benedica e gli conceda la pace, nei luoghi in cui aveva fatto sosta come fece ibn ‘Umar”.
Nonostante la sua stretta osservanza delle azioni del Pi’ofeta, ‘Abdullfih era estremamente cauto, addirittura timoroso, nel ripor- tare i suoi detti. Riferiva un hadifù solo se era completamente sicuro di ricordarne ogni singola parola. Uno dei suoi contemporanei disse:
“Tra i compagni del Profeta, nessuno era più attento di ‘Abdullàh ibn ‘Umar a non aggiungere o sottrarre alcunché a un dsdtIi del Profeta”.
Parimenti, era estremamente cauto e riluttante ne1l’emettere giudizi legali /atma). Una volta qualcuno si rivolse a .lui per avere un giudizio riguardo a una questione particolare, al che ’Abdullàh ibn ‘Umar rispose:
“Non ho conoscenza riguardo a ciò che mi chiedi”.
Quando l’ucimo si fu allontanato, ’ Abdullàh battè le mani per la gioia e disse: “Al figlio di ‘Umar è stato chiesto ciò che non cc›nosce e ha detto: ‘Non so”’
Per via dì questa attitudine, ’Abdullàh era restio ad assumere la funzione di qùdì (giudice), quantunque fosse pienamente qualificato
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per essa. Per quanto tale ufficio fosse considerato come uno dei più importanti e onorevoli nella società islamica, e implicasse onore, gloria e ricchezza, egli declinò l’offerta rivoltagli dal califfo ‘Uthmàn. Ciò non in quanto sottovalutasse l’importanza della posizione di qódi, ma per il timore di commettere errori di giudizio in questioni relative al1’Is1am. ’Uthmari gli chiese di non divulgare la sua de- cisione in quanto avrebbe potuto influenzare i molti altri compagni del Profeta (pbsl) che assolsero i doveri di giureconsulti e giudici.
‘Abdullàh ibn ‘Umar fu una volta descritto come “il fratello del- la notte”. Soleva infatti vegliare durante la notte pregando, pian- gendo, implorando il perdono di Dio e recitando il Corano. Ad Hafsah, sua sorella, il Profeta (pbsl) disse: “Che uomo benedetto è Abdullàh. Se pregasse nel corso della notte sarebbe ancora più benedetto”.
Da quel giorno, ’Abdullah non abbandonò mai la @iyóm al Layl (la pia veglia notturna), che si trovasse a casa o in viaggio. Nel si- lenzio della notte, ricordava Dio, pregava, recitava il Corano e pian- geva. Come suo padre, le lacrime sgorgavano fluenti dai suoi occhi, in special modo quando udiva i versetti ammoiiitori del Corano. ‘Ubayd ibn ‘Umayr riferì che un giorno recitò i seguenti versetti ad ’Abdullfih ibn ‘Umar:
“E che acverrà guardo susctteremo un testimone te agni comunità e ti chiamerema a festtmorte confro di loro?
In quel giorno t miscredenti, coloro che hanno disubbtdifo sf Messaggero, yreferirebbero che la terra li ricoprtsse completamente; non potranno nascondere ad Allah nessun episodia” (Sura an-Nisà,
‘Abdullàh pianse a11’udire questi versetti fino a che la sua barba non fu madida di lacrime.
Un giorno, mentre sedeva con alcuni dei suoi amici piu pros- simi, recitò i seguenti versetti:
“Guai ai frodatori, clie quan8a comprano esigono co/es la misura, ma quando sono ftiro a misurare o a pesare tniffano. Non pensano che saraniia resiiscitati, in tiri Giorno terribile, il Gìorno in cuì le geatt saranno ritte davanti al Signore dei mondi?” (Sura al- Mutaffifin, LXXXIII, 1-6).
A quel punto, cominciò a ripetere diverse x olte tra le lacrime: “il Giorno in cui le genti saranno ritte davanti al Signore dei inoadt”, fino a che non svenne.
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La devozione, la semplicità e la generosità fecero st che ‘Abdullăh godesse della più alta stima da parte dei compagni e di
coloro che seguirono. Donò a piene mani e non badõ a separarsi dalle ‘ sue ricchezze. Fu un mercante prospero e degno di fiducia net corso
della siia intera esistenza. Oltre a questo, riceveva uno stipendio ge- neroso dalla Bayt at-Ma che spendeva spesso per i poveri e i bisognosi. Ayyùb ibn Wà’il riferì una storia relativa alia sua ge- nerosità:
Un giorno ‘Abdullàh ibn ‘Umar ricevette quattromila dii’ham e un manto di velluto. A1l’indomani Ayyúb to vide nel sky ad acqui- stare a ciedito del foraggio per il suo cammello. Ayyúb si recò allora dalla farniglia di ‘Abdulláh e chiese:
“Abû ‘Abdur-Rahmăn (vale a dire ‘Abdullâh ibn Umar) non ha forse ricevuto ieri quattromila Jirùam e un panno?”
“Sì, certo”, risposero.
Ma l’ho visto oggi ne1 svq intents a comprare del foraggio per il suo caminello senza avere i soldi per pagarlo”.
“Ie£i, prima che cadesse la notte, se ne era già separato. Prese quindi il manto, se 1.o gettò sulle spalle e uscì. Al suo ritorno non lo aveva più. Gli chiedemmo che cosa ne avesse fatto e ci disse che lo aveva dato a una persona povera”, spiegarono.
’Abdullâh ibn ’Umar iricoraggiò la gente a sfamare e ad aiutare i poveri e i bísognosi. Spesso, alla sua tavola, si trovavano degJi orfani e degli indigenti a mangiare con lui. Un giorno rimproverò i suoi íigli di trattare con riguardo i ricchi e trascurare i pove1’i. Disse:
“Voi invitate i ricchi e abbandonate i poveri!”
Per Abdullăh, la ricchezza era una serva, non una padrona. Era un mezzo per soddisfare le necessita della vita, non per il lusso. In ciõ fu aíutato dal suo ascetismo e da mo stile di viìa assai semplice. Us suo amico dal IJuràsãn una volta gli regalò un indumento di raffinata eleganza, dicerido:
“Ti ho portato questo fùumb dal Khuràsàn. Certamente dara freschezza ai tuoi occhi. Ti suggerisco di liberarti di questi abili grezzi che porti e di indossare questo magnifico lhuiub”.
“Mostramelo”, ßisse ‘Abdullàh ibn ‘Umar, quindi gli domandò se fosse di seta.
‘ No, è di cotone”, rispose l’amico.
Per un attimo ‘Abdulláh ne fu soddisfatto. Quindi allontanò il fùcmò con la sua mano destra e disse:
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“No, ho paura per me stesso. Temo che mi possa rendere arrogante e presuntuoso. E Dio non ama i millantatori arroganti”.
Maymiin ibn Mahràn ha raccontato l’aneddoto seguente:
“Entrai nella casa di ‘Abdullàh ibn ‘Umar. StÌirtól O lli COSE contenuta in essa, tra cui il suo letto, la coperta, il tappeto e tutto il resto. Quanto vi trovai non valeva neppure cento dirham”.
E ciò non perché egli fosse povero. Anzi, era ricco. E neppure perchó fosse avaro, ché era anzi generoso e munifico.
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